
Dario Di Vietri racconta lo straordinario debutto all’Arena di Verona
Dario Di Vietri racconta lo straordinario debutto all’Arena di Verona
Barese di nascita, Dario Di Vietri a soli ventitré anni si classifica finalista al Concorso “Ferruccio Tagliavini” a Deutschlandsberg (Austria), dove ottiene apprezzamenti da parte della giuria. Nel 2008 interpreta il ruolo di Cavaradossi presso il Conservatorio G. Verdi di Milano. Dopo il diploma, conseguito a Milano nel 2008, debutta l’anno successivo in Madama Butterfly nei Teatri del Circuito Lirico Lombardo. Seguono importanti debutti a Modena, Bologna, Martina Franca, Cagliari, Lucca, Livorno e Seoul (Corea del Sud). Ma la serata magica Di Vietri l’ha vissuta la scorsa estate, quando è stato chiamato a sostituire il tenore titolare nella Turandot all’Arena di Verona.
– Dario, come ricorda quel debutto veronese?
«Dopo diverse audizioni con la Direzione Artistica dell’Arena ho ottenuto, a ridosso dell’apertura della stagione, la copertura dei cinque ruoli di tenore protagonista: Radames in Aida, Riccardo in Un ballo in maschera, Calaf in Turandot, Don Josè in Carmen, Pinkerton in Madama Butterfly. Tra questi cinque ruoli soltanto tre erano già debuttati, in quanto Radames e Riccardo non li avevo mai cantati. Ho perfezionato il ruolo di Riccardo in quindici giorni a Verona grazie al supporto e alla pazienza dei Maestri accompagnatori della Fondazione Arena, debuttando il ruolo in prova generale diretto dal maestro Andrea Battistoni. Questo è stato per me il superamento del primo grande scoglio. Nella vita amo fare i miei percorsi con calma. Essermi messo a dura prova con la complessità di quel ruolo in così poco tempo e in quella sede (che per me rappresenta il teatro dei Grandi che ammiro e dai quali ho studiato e continuo a studiare) mi ha dato tutto il coraggio e la forza di subentrare in un ruolo di mia maggiore padronanza quale Calaf. Il mio ingresso è avvenuto dal secondo atto, sotto la direzione di Daniel Oren e al posto dell’infortunato Carlo Ventre, il giorno 30 luglio 2014. L’esplosione di applausi e le richieste di bis dopo il “Nessun dorma” sono stati l’emozione più grande della mia vita. Grazie alla fiducia accordatami dai maestri Paolo Gavazzeni e Giampiero Sobrino, mi è stata confermata l’ultima recita di Turandot del 2 agosto, in cui ho potuto confermare che la mia performance non era stata soltanto un colpo di fortuna, perché il pubblico rispondeva ancora con interminabili applausi. Questo ricordo mi dà l’energia per poter fare quello che ho desiderato sin da piccolo: il tenore.»
– Mi racconta qualcosa del suo periodo di studi?
«Ho iniziato a studiare giovanissimo e subito con grandi insegnanti quali Luciano Pavarotti, Katia Ricciarelli, Jaume Aragall. Ho conosciuto Pavarotti a sedici anni, durante un suo concerto, e gli ho chiesto se poteva seguirmi. Ha accettato enon mi ha mai chiesto soldi per studiare. Successivamente ho frequentato il Conservatorio a Milano, nella classe di Vittorio Terranova, e subito dopo ho frequentato la Scuola dell’Opera Italiana di Bologna. La vera svolta l’ho avuta grazie al supporto tecnico del mezzosoprano Bruna Baglioni, che è diventata il mio grande punto di riferimento. Allo studio tecnico-vocale ho accostato la preparazione del repertorio con importanti maestri, tra cui Sergio La Stella del Teatro dell’Opera di Roma.»
– Un buon inizio, dunque.
«Le confesso che nell’arco di quattordici anni ci sono anche stati momenti molto negativi e più di una volta ho pensato di abbandonare tutto. Il mio debutto è avvenuto quando non ero pienamente pronto e ho dovuto compiere difficili scelte per evitare mali peggiori e per preservare la voce (e la mia stessa persona). Ho lavorato molto, e continuo a farlo. Chi mi segue nello studio mi ricorda ogni giorno che è importante studiare, studiare… Io so di doverlo fare non solo ora, ma per tutta la carriera. D’altronde sono convinto che soltanto lo studio assiduo garantisce una carriera duratura.»
– Quale tenore del passato può prendere come modello?
«Sicuramente Luciano Pavarotti per l’ottima tecnica e per la freschezza vocale.»
– Pinkerton ha segnato il suo debutto nel 2009, con successive riprese nei teatri di Budrio e Brindisi. E’ un ruolo importante per lei?
«Lo è in quanto ha segnato il mio debutto e sicuramente Madama Butterfly sarà un’opera che non dimenticherò mai. Non posso però dire che questo sia il mio ruolo preferito, perché mi vedo più adatto per Calaf per la caparbietà e testardaggine e tipo di vocalità.»
– Come ricorda l’apparizione in TV, nel 2009, con Pippo Baudo?
«E’ stata la mia prima apparizione televisiva ed è stato un onore lavorare con un professionista come Pippo Baudo.»
– Ha cantato diverse volte, a Martina Franca, Lucca, Pisa e Cagliari, Napoli milionaria di Rota. Come giudica quest’opera?
«E’ un’opera spettacolare, che tratta grandi temi sociali. Musicalmente ha parecchi richiami al boogie-boogie e alla canzone napoletana. E’ un lavoro che meriterebbe di essere eseguito e ascoltato pìù spesso. Sarebbe per me una gioia cantare l’opera nella sua “patria”, cioè al San Carlo di Napoli.»
– Che cosa mi dice invece de Il prigioniero di Dallapiccola cantato a Bologna?
«E’ un’opera musicalmente complessa, in cui il grande protagonista è il baritono. E’ stato importante lavorare con un grande direttore come Michele Mariotti, che ha richiesto molti effetti vocali da noi solisti, creando al contempo notevoli colori e sfumature con l’orchestra.»
– Dal 2012 a oggi ha debuttato importanti lavori come Traviata, Macbeth, Carmen, Un ballo in maschera, Samson et Dalila e Turandot. In quale opera si è trovato meglio?
«Sicuramente in Turandot perché mi rispecchio sia vocalmente che psicologicamente nel personaggio. Amo anche molto le opere di Verdi, soprattutto Ballo in maschera e Aida, che è prossima al debutto. Ho notato che la mia voce si trova molto a suo agio anche nel repertorio francese, che non voglio trascurare.»
– Lei sarà al Megaron di Atene per la prima mondiale di El Greco di George Hatzinassios. Di che cosa si tratta? E’ un’opera che le piace?
«Tratta la storia del pittore Domenico Theotocopoulos (El Greco), che viaggiò nel 1570 da Creta a Roma, per andare poi a Venezia e infine a Toledo. L’opera unisce la cultura mediterranea (Italia-Grecia-Spagna) caratterizzate da elementi comuni: mare, sole, cibo, profumi e… crisi. Mi piace molto lavorare con il compositore Hatzinassios, un uomo che ama quello che fa, che si sente veramente sé stesso nella musica, un po’ come capita a me quando canto.»
– Come definirebbe, oggi, la sua voce?
«Tenore lirico-spinto… in evoluzione.»
– Quali ruoli vorrebbe aggiungere nei prossimi anni al suo repertorio?
«Des Grieux, Rodolfo (Luisa Miller), Manrico, Don Carlo, Don Alvaro (Forza del destino). Sono prossimo al debutto come Turiddu, Cavaradossi, Radames e Manrico. Con molta calma cerco si fare quanto posso!»
– Quali sono i rischi per una voce di tenore nei primi anni di carriera?
«Che venga sfruttata, senza lasciarle il tempo di studiare la tecnica, che è fondamentale accanto allo studio attento del repertorio. Prepararsi in maniera approssimata non permette di prendersi cura della voce, per mantenerla sana a lungo, come si faceva fino a una ventina d’anni fa.»
– A quali ruoli saprebbe dire di no, se glieli proponessero oggi?
«Andrea Chénier, Canio, Otello-»
– So che recentemente ha tenuto un concerto a New York. Che impressione ha avuto della Grande Mela? Le è piaciuto il pubblico americano?
«New York è l’Eden della musica e della vita contemporanea, romantica e tecnologica allo stesso tempo. E’ una città entusiasta della vita e il pubblico è felice di apprezzare l’opera. Cosa vuole di più?»
(2014)